Il rapporto sulla pena di morte nel mondo nel 2014 rileva due fenomeni in potenziale contrasto.
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Da un lato, i paesi che hanno eseguito condanne a morte sono stati 22 – lo stesso numero del 2013.
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La pena capitale resta un’eccezione ed è concentrata fondamentalmente in Medio Oriente e Asia: Iran, Iraq e Arabia Saudita con il 72% delle esecuzioni totali.
Se fossero noti i dati della Cina, la percentuale salirebbe al 90%.
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Ma questo paese continua a mantenere il segreto di stato.
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Dall’altro, le condanne a morte sono aumentate drasticamente: almeno 2466 a causa soprattutto di Egitto e Nigeria che hanno messo a morte nel tentativo, futile e di corto respiro, di contrastare minacce a sicurezza, instabilità politica e terrorismo.
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Le esecuzioni di cui Amnesty International è venuta a conoscenza, ovvero quelle rese note dalle autorità, sono state 607 – 22% in meno rispetto al 2013 – ad esclusione della Cina.
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Il secondo paese al mondo per esecuzioni, l’Iran, ne ha ammesse solo 289, ma secondo fonti attendibili sarebbero 743, una media di due al giorno.
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L’elenco dei cinque principali esecutori di condanne a morte si completa con l’Arabia Saudita(almeno 90 esecuzioni), l’Iraq (almeno 61) e gli Usa (35).
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Il Pakistan ha ripreso le esecuzioni dopo l’orribile attacco dei talebani contro una scuola di Peshawar.
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