Il 40% dell’olio extra vergine di oliva italiano è qualitativamente superiore rispetto al resto della produzione nazionale.
Non significa solo qualità organolettica, ma soprattutto frutto di una filiera che, in tutti i suoi passaggi – dalla terra, alla molitura, alla distribuzione – riserva le giuste attenzioni verso l’ambiente, il capitale umano, la gestione delle risorse e dei rifiuti, che riduce i fitofarmaci, adotta certificazioni, rispetta i parametri di qualità salutistica.
Lo dice il primo PIQ – Prodotto interno qualità sulla filiera oleicola, realizzato da Fondazione Symbola e CREA in collaborazione con Coldiretti e Unaprol.
Per misurare la qualità della filiera, Symbola e CREA hanno messo insieme 102 indicatori che rappresentano il più completo set informativo sulle diverse fasi produttive dell’olio.
Alcuni dimostrando tendenze positive – come il contenimento dei costi di consumo dell’acqua, la certificazione biologica, la quota di olio recuperato sul totale distribuito – che vengono soppesati con segnali d’allarme quando nella filiera qualcosa non torna.
Attualmente si osserva dunque una polarizzazione del marcato: da una parte troviamo le imprese che scelgono la qualità, e fanno crescere il valore del loro prodotto; dall’altra ci sono quelle che, in difficoltà, tagliano sulla qualità puntando alla quantità.
Che differenza passa allora tra una bottiglia d’olio extravergine di oliva da 3 euro e una da 9?
La diversità sta nel sapore, ovviamente, e anche in parametri importanti come i polifenoli, lo squalene, il rapporto acido oleico/linoleico sui quali i diversi olii hanno valori che possono essere variare anche molto.